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Magnifica Comunità
di Fiemme

La Festa del Boscaiolo

Magnifica Comunità
di Fiemme

Il Palazzo, Museo Pinacoteca

Il Lavoro del Boscaiolo

La Vita del Boscaiolo

Il boscaiolo lavorava quasi sempre in compagnia e a cottimo: maggior prodotto equivaleva a maggiore stipendio e la possibilità di portarsi a casa la parte meno pregiata della produzione.

Alzarsi alle cinque per rientrare dopo il tramonto: questa la giornata lavorativa con un’ora o poco più di sosta a mezzogiorno. Il riparo della compagnia era una capanna fatta di pali e scorza che doveva resistere per qualche mese, se il lavoro era lontano dal rientro quotidiano e comportava una lavorazione particolarmente lunga. Solo la festa era d’obbligo il ritorno in casa.

Finito l’esbosco anche il capanno veniva smantellato perché i suoi pali e la sua corteccia erano comunque utili. Il rifugio o “cason” conteneva un focolare aperto al centro con la catena da fuoco o “segosta” per il paiolo; una mensola e un basso palco di paletti smezzati tra i quali si infiggevano rametti verdi di conifera, sopra di essi uno strato di paglia che serviva da giaciglio: così era pronto il letto notturno per tutti, che si stendevano uno accanto all’altro nei rispettivi mantelli e togliendosi gli zoccoli soltanto se il clima non era troppo rigido.

Durante il giorno non sempre i boscaioli potevano scendere dalla fratta per mangiare. Allora un giovane cuciniere improvvisava un focolare al riparo di tre pietre e qualche grossa radice e coceva la polenta per tutti, lì sul posto.

Per un lavoro di tanta e prolungata fatica ci sarebbero volute quantità notevoli di calorie ovvero pasti frequenti e sostanziosi. In realtà all’alba essi si trovavano davanti polenta fredda senza sale con un po’ di formaggio, talora saporito, più spesso deteriorato; si buttava giù questa razione con alcune sorsate di caffè d’orzo. Di vino neanche l’ombra. Polenta anche a mezzogiorno, a volte con qualche fetta di lucanica; la sera invece una minestra di farina abbrustolita.

Un cenno particolare meritano le cantilene utilizzate allorché più boscaioli lavoravano con il “sapìn” intorno ad uno stesso tronco, per girarlo o spostarlo. Erano frasi ora brevissime (“gira”, “volta”, ecc., naturalmente in dialetto), ora lunghe e allungabili a piacere (“Mettila accanto alla sua nonna che le tenga caldo!” - “Se viene la testa, viene anche la coda”) che il “cantore” della compagnia urlava o recitava a mezza voce come in una litania. Importante era che il massimo sforzo venisse operato nello stesso momento da tutti.

Dovendo i boscaioli lavorare assai spesso a temperature rigide, vestivano sempre panni pesanti: le mani riparate da ruvide manopole, quasi subito indurite e impermeabilizzate dalla resina, le gambe difese da ghette di pezza infeltrita, il corpo avvolto, sopra la giacca da lavoro, in ampi e neri mantelli e lo zaino in spalla o comunque sempre vicinissimo alla posta.

Nelle sere all’interno del “cason”, lontani da casa questi lavoratori sapevano in qualche modo superare la nostalgia del focolare domestico e riempivano l’ora prima del duro sonno con racconti di folletti come il “salvanel” o presenze strane come quella dell’ “om salvadech”, ma soprattutto con confronti sapidi e salaci nei confronti di altre compagnie di boscaioli, ritenuti incapaci o così maldestri da inviare i tronchi non a valle ma addirittura al di là dei monti. Erano queste rime i “campéti” che purtroppo sono tutti finiti nel dimenticatoio, ma dovevano essere del tipo delle “Lamentazioni della Val di Fiemme”, con strofette di satira e ritornello quasi urlato e senza parole logiche.

Note bibliografiche
Per la stesura di questo inserto sono state utilizzate le informazioni contenute nel capitolo specifico dell’opera di Arturo Boninsegna “Dialetto e mestieri a Predazzo” (1980), ristampato nel 2003. Altre notizie provengono da diversi scritti del prof. Italo Giordani, tra cui “La Magnifica Comunità di Fiemme. Sintesi storica”, eccellente articolo in Dendronatura (1/1998), e “Il lavoro nel bosco in Val di Fiemme” di Agostino Bortolotti (1978).