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Magnifica Comunità
di Fiemme

La Festa del Boscaiolo

Magnifica Comunità
di Fiemme

Il Palazzo, Museo Pinacoteca

Il Lavoro del Boscaiolo

Forme e Canali di Trasporto e di Contamento

Spetta ai boscaioli provvedere al vero e proprio esbosco perché tutti i contratti richiedono la consegna del legname presso una strada carrabile. Lavoravano quindi un tempo di comune accordo con i carrettieri e l’operazione andava sotto il nome di “condota”: i pezzi erano accostati tra loro in un solo spiazzo, il più basso della zona disboscata e di qui si procedeva all’avvallamento vero e proprio, in canali che potevano essere naturali o artificiali.

Tra le parole che stanno scomparendo troviamo i “tovi”, ripidi canali naturali in genere prodotti da rigagnoli stagionali o dalle acque del disgelo sui fianchi più ripidi del monte. La parola di origine più antica che il latino appare viva fra i nomi di luogo, ma molti ora non saprebbero indicarne il significato autentico. Quando il versante è più dolce deve essere l’uomo a costruire qualcosa di simile e scivoloso con una parte dei tronchi abbattuti, disposti a “V” romano o a culla, che poi progressivamente, dall’alto verso il basso, verranno recuperati.

Questo artificio, chiamato in genere “spianada”, è necessario anche quando bisogna superare ostacoli come l’attraversamento di ruscelli o salti rocciosi che rovinerebbero i tronchi. Ma il congegno più interessante e, come tale, noto a molti e soggetto quasi dappertutto ad un interessante recupero è quello della “cava”. Dove era necessario superare per lunghi tratti terreni difficili, verso la fine dell’Ottocento furono costruiti dei canali artificiali con ponti fissi sui torrenti, il fondo selciato e il fianchi in pietre ben levigate. Se ne conservano esempi dalla Valsorda del Forno fino a Cadino e i punti più interessanti erano i cosiddetti “sburfi”, cioè le brusche impennate in contropendenza per arrestare i tronchi e deviarli verso un nuovo tratto in basso, quasi come su una strada a tornanti. Infine in parecchie situazioni era necessario trascinare i tronchi quasi in piano per passare da un canale all’altro, mediante i “menadori”, simili a bretelle di collegamento. Condizione indispensabile per utilizzare le “cave” era la presenza della neve e del ghiaccio. Il lavoro era comunque improbo perché, se la neve era troppa, bisognava spalarla dal condotto; se mancava, bisognava creare un sottile strato di ghiaccio con spruzzi d’acqua gettati a mano. Anche con la “cava” era prima di tutto necessario accostare in piazze successive i tronchi nei pressi del canale e poi i boscaioli si disponevano lungo la stessa, nei punti di più difficile scorrimento, per controllare la regolarità della condotta. Le velocità che i tronchi raggiungevano erano davvero vertiginose e temibili; bastava un minimo ostacolo per far rimbalzare il legname e farlo sbattere contro ostacoli naturali. Il rumore simile ad un sibilo cupo riempiva la valle, interrotto da schianti o boati profondi. I boscaioli si intendevano tra loro con particolari urla di origine tirolese. Ma il pericolo era sempre incombente perché gli operai, pur muniti di grappelle, spesso scivolavano sul ghiaccio quando intervenivano a rimediare qualche inconveniente senza avvisare gli altri. Gli incidenti erano contrassegnati dal silenzio e dall’arresto della calata dei pezzi. Altre urla, questa volta di raccapriccio, chiamavano i compagni per la tragica constatazione.

Qualunque fosse il tipo di canale usato, in fondo tutto il legname era raccolto in piazze più o meno larghe e qui avveniva il lavoro del riordino, più tranquillo anche se non privo di pericoli per schiacciamenti e scivoloni. È necessario disporre tutto il legname in cataste di tale misura da consentire il contamento per il compratore o per il proprietario del bosco. Il conteggio avviene sia a pezzi che a diametro, con l’utilizzo del calibro dendrometrico detto “canà(g)ola”. Due boscaioli fanno ruotare ad uno ad uno i tronchi, ne verificano in testa che il legno sia sano, risistemano i tronchi sulle cataste o “tassogn” ordinati e definitivi. A questo punto il lavoro del boscaiolo è finito.

Note bibliografiche
Per la stesura di questo inserto sono state utilizzate le informazioni contenute nel capitolo specifico dell’opera di Arturo Boninsegna “Dialetto e mestieri a Predazzo” (1980), ristampato nel 2003. Altre notizie provengono da diversi scritti del prof. Italo Giordani, tra cui “La Magnifica Comunità di Fiemme. Sintesi storica”, eccellente articolo in Dendronatura (1/1998), e “Il lavoro nel bosco in Val di Fiemme” di Agostino Bortolotti (1978).